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Consulenza su contenuti vietati: hacking e pornografia

16/05/2013
Polimeni Legal

Oltre alla generica responsabilità penale, la Legge prevede alcune specifiche ipotesi di reato che trovano la loro applicazione principale nella diffusione di determinati contenuti tramite siti web.

Si tratta principalmente dei casi di distribuzione tramite web di files che hanno stretta connessione con l’ambito dell’hacking e della pornografia online. L’incidenza sul web di questi due rami è notevole. Basti pensare che per il mercato della pornografia online si calcola un giro d’affari di 2.500 milioni di dollari, con oltre 4 milioni di siti per soli adulti che corrispondono al 12% dei siti del World Wide Web.

Ma il settore che preoccupa maggiormente è la pedo-pornografia, o pornografia minorile.

Il fenomeno è in aumento e secondo i dati Eurispes fino al 2001 esistevano 70 mila siti pedo-pornografici, con 12 milioni di immagini che girano sulla Rete e 2,5 milioni di bambini coinvolti con un età che varia dai 10 giorni ai 12 anni. Numeri raccapriccianti di un fenomeno più volte oggetto di interventi legislativi, che trovano la pietra miliare negli artt. 600 ter e quater del Codice Penale inseriti dalla Legge del 3 agosto 1998 n. 269 “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”.

Il codice, così come modificato, recita nel III° comma dell’art. 600 ter: “Chiunque […]con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645”.

Al riguardo si osserva che viene individuata una serie di condotte che si potrebbero qualificare come “diffusive” e che si possono realizzare con qualunque mezzo, anche “per via telematica”, qundi tramite un sito web (oltre che per mezzo email o P2P).

Proseguendo nella lettura dello stesso articolo, al IV° comma si legge: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164.

Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità”.

Infine l’art. 600 quater c.p. punisce la detenzione consapevole di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori di anni diciotto, prevedendo la pena della reclusione fino a tre anni o la multa non inferiore ad euro 1.549,00 (oltre alle pene accessorie previste dall’art. 600 septies come la confisca o la revoca della licenza di esercizio).

Non vi è alcun dubbio che nella definizione di “detenzione di materiale” rientri la presenza di immagini su server anche a noleggio ed hosting di cui il webmaster ha (o dovrebbe avere) il diritto esclusivo di accesso tramite chiavi segrete di riconoscimento.

Inoltre l’appena citato art. 600 septies specifica esplicitamente il diritto della persona offesa dal reato alle restituzioni ed al risarcimento dei danni da parte del webmaster che lo ha commesso.

Resta chiaro che la “detenzione” di materiale pornografico, stante la sua differenziazione da quello pedopornografico è lecita nel nostro ordinamento.

Sono fatti salvi, per quanto riguarda il webmaster, gli accordi contrattuali col fornitore del servizio di hosting, che, per prassi, contengono spesso clausole che vietano la detenzione anche di materiale pornografico sui propri server.

Diverso è il discorso a riguardo della “diffusione” del materiale pornografico.

Il nostro ordinamento giuridico non definisce i termini “pornografico” e “pornografia”.

Per valutare l’antigiuridicità ed i confini di liceità dell’immissione e della diffusione di immagini pornografiche in rete è necessario pertanto tradurre il termine “pornografia” con il termine “oscenità” e fare riferimento ai tradizionali parametri del nostro diritto positivo: i concetti di “osceno” e di “ offesa al pudore”, che si rinvengono negli artt. 528, 529 e 725 del Codice Penale.

L’art. 528 sembrerebbe vietare la diffusione di materiale osceno, ma da una attenta lettura restrittiva dello stesso, supportata anche dalla sentenza del 27 giugno 1992, n. 368 della Corte Costituzionale, nonché dallo svuotamento della portata di tale divieto già con la promulgazione della legge 17 luglio 1975 n.355, si deduce la non punibilità dell’attività di produzione e messa in circolazione di immagini oscene, qualora questa sia svolta nel rispetto dei terzi non interessati o non consenzienti e dei minori.

L’offerta di immagini pornografiche potrà dunque senza dubbio considerarsi lecita qualora si adottino le seguenti cautele:

1) le immagini pornografiche non dovranno avere ad oggetto i minori degli anni diciotto;

2) le immagini pornografiche dovranno essere destinate ai soli adulti (e solo dopo il loro consapevole e volontario accesso al sito);

3) l’offerta di immagini pornografiche dovrà avvenire in siti chiaramente riconoscibili dai terzi come offerenti tale prodotto, senza offrire in previsione immagini palesemente oscene o pornografiche.

In questo periodo l’orientamento governativo vede in cantiere proposte di legge volte ad inasprire le pene contro la pedopornografia, a vietare la diffusione di materiale pornografico anche nel caso in cui le persone rappresentante non siano minori, ma sembrino visivamente tali, e la diffusione di materiale pornografico anche di “immagini virtuali” di minori realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.

Per quanto riguarda invece il mondo dell’hacking, gli articoli a cui fare riferimento sono gli artt. 615 quater e quinquies del Codice Penale inseriti dalla legge 23 dicembre 1993, n. 547.

In particolare l’art. 615 quater stabilisce che: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, e’ punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a euro 5.164”.

Ma ancor più rilevante per tutti i webmaster, è l’articolo 600 quinquies c.p. che vieta la diffusione, la comunicazione e la consegna di “un programma informatico da lui stesso o da altri redatto, avente per scopo o per effetto il danneggiamento di un sistema informatico o telematico, dei dati o dei programmi in esso contenuti o ad essi pertinenti, ovvero l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento” prevedendo la “reclusione sino a due anni e la multa sino a euro 10.329”

Gli articoli in questione non hanno bisogno di commento, e sono rilevanti in tutti quei casi in cui i webmaster offrono la possibilità di scaricare (download) dal proprio sito programmi, anche se freeware o opensource, e codici d’accesso tramite i quali compiere un’azione di “hacking”, come ad es. violare sistemi informatici o telematici (violando spesso altresì la normativa sul diritto d’autore, nel caso in cui si acceda ad es. a comunicazioni satellitari come la pay per view, o allo sblocco di software non freeware).

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